“Coppia aperta quasi spalancata”, intervista alla regista Federica Di Giacomo
Con "Coppia aperta quasi spalancata" la regista Federica Di Giacomo affronta il tema del poliamore "parlando del futuro".
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“Thing that my best friend lost”, intervista con la regista Marta Innocenti Manuela Santacatterina
All’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica FRED Film Radio ha incontrato Marta Innocenti, la regista di “Thing That My Best Friend Lost”, corto presentato alla Settimana Internazionale della Critica 2024 nella sezione Sic@Sic.
Dal punto di vista visivo “Thing That My Best Fried Lost” è molto interessante in quanto utilizza delle immagini di un rave che accompagna a delle note audio di WhatsApp. Uno strumento di comunicazione che usiamo da pochi anni trasformato in una forma di racconto. “Avevo filmato in precedenza il rave e le immagini erano una documentazione di quella notte. Era una linea di racconto più oggettiva, di racconto della realtà in modo esplorativo e documentaristico”, racconta Marta Innocenti. “Però il racconto si mescolava con la vita personale di questo ragazzo. Mi sono resa conto che da sole le immagini documentarie non bastavano per raccontare quello che realmente volevo raccontare: ovvero una storia non soltanto corale rispetto a un mondo come quello dell’underground, ma anche una storia particolare che si fondeva in qualche modo con queste immagini. Le note audio sono stata un po’ la giocata definitiva”.
Nonostante “Things That My Best Friend Lost” utilizzi uno strumento di comunicazione, le note vocali che invia il protagonista nel corso di una notte trasmettono anche un senso di solitudine. “Il conflitto interno in questa linea narrativa sta in questo. Tutto si incrina per il semplice motivo che è come se fosse un grido solitario notturno di lui che continua a mandare messaggi ma non ha nessuna risposta. È come se stesse parlando con un fantasma. Nonostante la vicinanza tecnologica parliamo anche di quanto l’incomunicabilità oggi sia un tema che persiste. Ma non è soltanto incomunicabilità tecnologica, perché mentre è alla festa – e quindi è in mezzo a molte persone – è attaccato al telefono a parlare con qualcuno che non è lì”.
Alla conclusione del corto c’è un cartello che si riferisce al cosiddetto decreto anti rave. “Things That My Best Friend Lost” è un lavoro dal taglio politico? “Sì, inevitabilmente ha anche un livello politico, molto esplicito e dichiarato nella scelta di inserire il cartello finale del 633 bis chiamato dalle testate giornalistiche decreto anti rave, ma che riguarda tante altre cose. Un articolo preesistente che aggiunge questa piccola stringa che parla di occupazione di terreni o edifici per intrattenimento musicale, cosa che prima non era mai esistita. La musica e la festa come rituale collettivo sono un mezzo che riguarda la libertà d’espressione a prescindere. Non è attraverso la repressione che si riesce a creare dei popoli coscienti e dei luoghi sicuri”.
Una notte oscura si rivela attraverso i colori sgargianti e i suoni metallici di una festa illegale. Qui, Andrea – dj e organizzatore – attraverso una serie di vocali sempre più deliranti indirizzati a una figura lontana, confessa i suoi turbamenti e le sue gioie. Quello di Andrea è un solitario grido d’aiuto: mentre scopriamo il suo rapporto con il fantasma in ascolto, ci racconta l’esperienza umana di un rave clandestino. In una realtà che punisce e sorveglia, una festa senza limiti di spazio e tempo infiamma la città e rende liberi i corpi che abitiamo. Ma nella nostra epoca riusciamo davvero a connetterci oppure restiamo soli anche quando siamo insieme?
Written by: Manuela Santacatterina
Guest
Marta InnocentiFestival
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