In programma come Special screening alla 18esima Festa del Cinema di Roma, “Mur“ è il documentario di debutto dietro la macchina da presa di Kasia Smutniak, nelle sale italiane dal 20 ottobre.
L’attrice torna nella sua Polonia per farne sia un racconto intimo e personale e sia uno di denuncia, poiché il suo paese d’origine si è distinto per tempestività e generosità nell’offrire asilo ai rifugiati della guerra in Ucraina ma allo stesso è quello che ha appena iniziato la costruzione del muro più costoso d’Europa per impedire l’entrata di altri rifugiati.
Girato con il cellulare per praticità, utilità ed allo stesso intimità ed immediatezza, “Mur” nasce, per ammissione di Smutniak, come istantanea di denuncia mentre poi è diventato un film molto personale. Dice: “Questo non doveva essere un film su di me in realtà ma su quello che stava accadendo. Mi sono ritrovata a raccontare le emozioni che poi erano più vicine a quello che sono io, visto che da attrice sono 20 anni che ci lavoro. Mi sono detta dunque: via la denuncia, ci vuole un’altra strada e siccome la mia storia non è tanto interessante da farne un film, ho voluto rendere straordinario quello che succedeva lì“. Infine, la regista ci svela l’origine della collaborazione, all’immagine del film, con l’artista e giornalista curda Zehra Doğan.
Plot
Marzo 2022, da pochi giorni la Russia ha invaso l’Ucraina e l’intera Europa si è mobilitata per dare asilo ai rifugiati. Il Paese che si è distinto per tempestività e generosità è stata la Polonia, lo stesso Paese che ha appena iniziato la costruzione del muro più costoso d’Europa per impedire l’entrata di altri rifugiati.
Una striscia di terra che corre lungo tutto il confine bielorusso, chiamata zona rossa, impedisce a chiunque di avvicinarsi e vedere la costruzione del Muro, il protagonista della storia raccontata in questo film.
Kasia Smutniak esordisce alla regia con un film che è allo stesso tempo un diario intimo e una denuncia.
Il percorso, un incerto e rischioso viaggio nella zona rossa dove l’accesso non è consentito ai media, inizia davanti a un muro e davanti a un altro muro finisce. Grazie all’aiuto di attivisti locali e con una leggerissima attrezzatura tecnica, la regista raggiunge il confine e filma ciò che non si vuole raccontare.
Il primo muro respinge i migranti che arrivano da terre lontane attraversando il bosco più antico d’Europa, una frontiera impenetrabile in un mare di alberi. Puszcza Białowieża, così si chiama quel bosco, che, proprio come il mare, è un elemento nuovo per le migliaia di persone che tentano il viaggio. Il secondo, quello di fronte alla finestra di casa dei nonni a Łódź, dove la regista giocava da bambina, è il muro del cimitero ebraico del ghetto di Litzmannstadt.
Cercando di riconciliarsi con il proprio passato, Kasia Smutniak torna a casa con una forte consapevolezza: l’accoglienza non deve fare distinzioni, chiunque sia in pericolo va soccorso, un continente che si definisca democratico non innalza muri.