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Torino Lovers Film Festival

Lovers Film Festival 40, intervista al regista Gabriele Salvatores

todayApril 12, 2025

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Il regista Gabriele Salvatores è l'ospite d’onore della sezione Riflessi nel Buio della 40ª edizione del Lovers Film Festival.

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    Lovers Film Festival 40, intervista al regista Gabriele Salvatores Manuela Santacatterina

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Alla 40ª edizione del Lovers Film Festival, FRED Film radio ha incontrato il regista Gabriele Salvatores, ospite d’onore della sezione Riflessi nel Buio dell’edizione 2025 del festival LGBTQI+.

Riflessi nel Buio

Riflessi nel Buio è una realtà importantissima. Una sezione del Lovers Film Festival che dà un segnale forte di tipo culturale sostenendo con un contributo in denaro registi di film a tematica LGBTQIA+ che lavorano o raccontano di Paesi a forte rischio di discriminazione, incarcerazione, tortura o morte. Un realtà che dovrebbe essere molto più presente nel dibattito culturale. “Uno dei motivi per cui mi ha fatto piacere essere qui è proprio il fatto di segnalare al cinema italiano che i temi che vengono presentati in questo festival sono forse un pochino poco trattati o trattati in maniera laterale”, spiega Gabriele Salvatores. “Mentre il cinema, come tutte le arti, dovrebbe occuparsene perché le cose nel mondo e nella società si cambiano magari non solo con un solo film, un libro o disco, ma con molti film, molti libri e molti dischi. Ed è quello che potrà probabilmente salvarci da un momento piuttosto difficile che stiamo vivendo”.

Il contribuito al cinema

Parlando dell’importanza del cinema e dell’arte in generale, Gabriele Salvatores crede di aver contribuito ad aprire le menti degli spettatori? “Lo lo spero, non posso esserne sicuro”, riflette il regista. “Quando Mediterraneo ha vinto l’Oscar, sentivo di non meritarlo appieno. C’era un bellissimo film cinese, Lanterne Rosse, che mi piaceva più del mio. Questo mi ha aiutato a relativizzare un pochino la cosa. Mi sono subito posto il problema – quando nella vita hai un colpo di fortuna di questo tipo – di restituire qualcosa. Da quel momento ho sempre fatto film diversi l’uno dall’altro facendo cose che non erano state affrontate dal cinema italiano. Un esempio è la fantascienza con Nirvana. Il cinema italiano ha due genitori molto ingombranti, il Neorealismo e la commedia all’italiano, che ci hanno reso famosi in tutto il mondo ma hanno anche condizionato la nostra maniera di fare film. Ma il cinema è anche fantastico. Non ci sono solo i fratelli Lumière che riprendono gli operai all’uscita dalla fabbrica, c’è anche Méliès e il suo viaggio sulla Luna. Sono le due anime del cinema. Allora ho detto: “Proviamo a uscire dai canoni della commedia e del Neorealismo per provare a fare qualcosa che non abbiamo mai fatto”.

La fine del sogno americano?

C’è una scena bellissima in Napoli – New York quando i due piccoli protagonisti arrivano a New York e vedono la Statua della Libertà. Una scena che si lega in qualche modo anche alla sequenza iniziale diThe Brutalist dove “Lady Liberty” compare capovolta. Entrambi i film affrontano in tema della discriminazione e del sogno americano. Lo stesso che Donald Trump ha affossato definitivamente? “Spero di no”, ammette Gabriele Salvatores. “Perché c’è una parte degli Stati Uniti che ho amato molto e che amo ancora che mi ha fatto crescere. Quella degli anni ’60 e ’70. C’è una canzone di David Bowie che dice ‘This is not America’. Questa che vedo adesso non è l’America che sognavo. Sono sbalordito da come sia potuto succedere. Ci dovrebbe far pensare, perché snon ta succedendo solo lì. C’è una crisi forte delle democrazie che è dovuta a tanti fattori, al fatto che i partiti progressisti hanno trascurato la quotidianità della gente, i loro problemi pratici. E poi c’è la civiltà digitale che prevede una velocità di domande, risposte e consenso che è lontanissima dalla democrazia, che invece prevede discussioni, dubbi e confronti. È molto più comodo avere una persona che decide una cosa. È cambiata la mentalità. Inoltre le nuove tecnologie stanno confondendo continuamente la realtà con la finzione e hanno un ruolo pesante in questa decadenza della democrazia. Non a caso tutti i grandi della Silicon Valley sono immediatamente passati dalla parte di Trump. E che è un vero peccato perché la Apple quando è nata non aveva la mela bianca, ma i colori dell’arcobaleno. I primi progettisti di Apple erano tutti ragazzi che uscivano da Berkeley, quindi fortemente democratici. Quella cosa lì è diventata Internet che doveva essere un punto d’incontro ed diventato un supermercato. Oppure una maniera per condizionare un po’ le nostre coscienze”.

Written by: Manuela Santacatterina

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