Film e curiosità dalla 42esima edizione del Torino Film Festival, puntata del 23/11
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“L'occhio della gallina”, intervista alla regista Antonietta De Lillo Manuela Santacatterina
Nel 2004 Antonietta De Lillo ha presentato fuori concorso a Venezia 61 “Il resto di niente”. Un film amato dalla critica che avrebbe dovuto aprire per la regista un nuovo importante capitolo della sua carriera. Quello che ne è seguito, invece, è stata una lunga battaglia legale che la regista racconta ne
“L’occhio della Gallina”, documentario presentato alle Giornate degli Autori nella sezione Notti Veneziane.
“Per me lo Stato è come mio padre, mi deve proteggere, deve proteggere la cultura”. Una frase pronunciata da Antonietta De Lillo ne “L’occhio della gallina”. Dal 2004, quando “Il resto di niente” è stato presentato proprio a Venezia, ad oggi, la regista crede che lo Stato abbia fatto qualcosa per proteggere la cultura? “Penso che paradossalmente sia in una posizione molto fragile, quindi non ha fatto molto perché deve prendere un po’ di forza. Siamo in una situazione dove la finanza, l’economia, l’industria hanno preso il sopravvento, gli interessi privati sono riusciti a infiltrarsi completamente nelle istituzioni pubbliche”, sottolinea la De Lillo. “Questo è successo perché c’è stato un processo culturale che dura ormai da 30 anni, quindi quasi è normale che il privato gestisca il pubblico. Questo è il vero problema che non affligge solo il nostro cinema, ma l’intero Paese, l’Europa, il mondo. Per questo ho pensato che dovevo assolutamente fare questo film. Non perché dovessi difendermi, ma perché che riguarda tutti. Anche se non riusciamo a vederlo”.
“L’occhio della gallina” racconta una storia estremamente personale, ma nella quale non è difficile immedesimarsi perché tutti, prima o poi, ci ritroviamo con una porta chiusa in faccia. Antonietta De Lillo ha preso tutta la rabbia, la delusione e la sensazione di fallimento e li ha trasformati in determinazione? “L’ho fatto grazie a una cosa che sembra semplice ma che, invece, è molto rara e che evidentemente lo devo a chi mi ha educato e a chi mi ha dato un’educazione sentimentale. Ci sono riuscita perché mi sono voluta bene. Quando mi arrabbiavo o parlavo male dei miei detrattori capivo che mi stavo avvelenando. Non sono cristiana, però penso che il bene ha una grande forza”.
Quella di Antonietta De Lillo è una storia di resistenza lunga vent’anni per non farsi schiacciare dalla catena di montaggio. Una storia a cui guardare anche per prendere esempio? “Francamente lo spero. Credo nella forza del cinema e francamente non avrei mai fatto un film su me stessa se non avessi pensato che fosse di interesse pubblico. Ho la fortuna o la sfortuna di frequentare i giovani e i meno giovani. Ho una strada tutta mia che mi condanna alla solitudine però mi condanna anche a viaggiare in mondi diversi e in generazioni diverse. Secondo me le persone più giovani trovano forza, le persone più grandi vedono una cosa normale. Ed è non scandalizzarsi più”.
L’occhio della Gallina è una storia di violenza e isolamento che non ha eguali nel nostro cinema. Dopo vent’anni di carriera e aver realizzato il suo miglior film, apprezzato dalla critica e considerato da alcuni un capolavoro in grado di consacrarla al grande pubblico, una eclatante ingiustizia ha sbarrato la strada alla regista Antonietta De Lillo, relegandola ai margini del sistema-cinema e impedendole di realizzare un nuovo film di finzione. Attraverso la forma dell’autoritratto, il film ripercorre in maniera libera la vita e la carriera della protagonista, alle soglie dei 40 anni dal suo primo film. Il paradosso di questa storia è rappresentato dal capovolgimento che è insito nel funzionamento dell’occhio della gallina che, per chi non lo sapesse, si chiude al contrario, dal basso verso l’alto. Allo stesso modo, mentre il cinema le viene negato, lei, ostinatamente, remando contro corrente, ne riafferma le doti culturali e artistiche, raccontandolo anche come strumento di cura e antidoto contro l’ingiusto isolamento.
Written by: Manuela Santacatterina
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