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"La nostra commedia all'italiana ci ha insegnato che possiamo ridere anche della morte".
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“La storia del Frank e della Nina”, intervista alla regista Paola Randi Manuela Santacatterina
Dopo “Into Paradiso” Paola Randi torna alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con “La storia del Frank e della Nina”, un romanzo di formazione per sognatori presentato nella sezione Orizzonti Extra.
Da Vittoria De Sica a “Jules e Jim”, “La storia del Frank e della Nina” è ricco di riferimenti cinematografici, gli stessi che hanno nutrito la passione di Paola Randi per i film. “Penso che gli artisti e le artiste che ci hanno preceduto siano alleati. Ci hanno offerto come degli assist. E quindi, quando trovo qualcosa che mi appartiene, me lo prendo. Nel film stavo facendo un’operazione di memoria. Perché siamo dentro la memoria del narratore. Sto parlando di qualcosa che apparteneva a quella età meravigliosa che tutti attraversiamo, dove siamo delle spugne e assorbiamo tutto. E allora ho visto tantissimo cinema. Hal Ashby che ha fatto film straordinari come Harold and Maude e Oltre il giardino, che hanno ispirato personaggi come quello de Il comandante. Dalla Nouvelle Vague l’uso della voice-over. Miracolo a Milano che ha raccontato la città con l’animo sognatore e quella dose straordinaria di fantasia che è talmente potente da essere in grado di manipolare la volontà di fare quello che si vuole”.
Proprio parlando di memoria c’è una frase pronunciata nel film che recita: “Te la conservi nelle mani la memoria”. Cosa c’è in quelle della regista? “Nelle mie mani ce n’è veramente tanta ed è molto bella. Ho tre anelli, ad esempio, che sono tutti pezzettini di memoria. Un anelli di ‘sfidanzamento’, un anello appartenuto a mia madre e uno regalatomi delle mie due migliori amiche. Anche questo concetto di famiglia allargata è molto importante. Gli adolescenti stabiliscono dei legami straordinari. Credo che uno la famiglia anche se la sceglie e che bisogna cambiare il termine famiglia tradizionale”.
Paola Randi per il suo film sceglie un narratore muto. Una contraddizione in termini, eppure la parola ne “La storia del Frank e della Nina” è centrale e crea una vera e propria melodia. “La scrittura è stata rapida. E poi ho lavorato in maniera molto interessante, nel senso che prima ho scelto gli attori e poi ho fatto una fase di lavoro con loro che mi ha permesso di riscrivere”.
La storia del Frank e della Nina ce la racconta Gollum, solo che la deve scrivere sui muri perché lui non parla: è il custode di quelle parole che non gli escono dalla gola e che scrive sui palazzi, come se la città fosse un grande amplificatore. Il Frank ha smesso di esistere da un paio d’anni, ma per campare vende compiti fuori dalle scuole. Aspetta di avere diciott’anni per prendere il treno e andarsene via. Il Frank interpreta la realtà in modo così potente da convincerci tutti. Solo che poi incontra la Nina. La Nina è ambiziosa e concreta, ma ha dato retta agli adulti e si ritrova nei guai. E adesso la vita, come la vuole lei, è solo dentro alle immagini che scatta. Ha una bambina, un marito e sedici anni, e ha capito che per essere libera deve studiare. Ingaggia il Frank perché la prepari all’esame di terza media. Solo che studiare nella sua situazione è roba pericolosa. E più studiano più si conoscono, e diventano quasi una famiglia, almeno finché la realtà non li acchiappa. Ma in fondo, come dice il Frank, “la realtà è un punto di vista” e allora forse la loro storia riusciranno a scriversela come gli pare.
Written by: Manuela Santacatterina
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