Kyoshi Sugita presenta il suo quarto film, “Kanata No Uta – Following The Sound“, alle Giornate degli Autori della 80° Mostra del Cinema di Venezia. In questa intervista, scopriamo il mistero che circonda questo film, in cui le parole sono scarse, ma l’arte visiva abbonda.
In un’epoca in cui il cinema è spesso dominato da trame intricate e dialoghi prolissi, Kyoshi Sugita offre un’esperienza diversa con “Kanata No Uta – Following The Sound“. Questo è il quarto lungometraggio del regista giapponese, un viaggio nel territorio dell’empatia e della gentilezza, in cui le parole sono scelte con parsimonia, ma le immagini parlano ad alta voce.
Il film segue la storia di Haru, interpretata con sensibilità da An Ogawa, una giovane donna che ha perso la madre anni prima. Il suo cammino la porta a incontrare due anime tormentate, Yukiko (Yuko Nakamura) e Tsuyoshi (Hidekazu Mashima), e decide di stabilire un legame con loro per condividere conforto reciproco. È una sorta di terapia personale, un modo per affrontare il proprio dolore per la perdita della madre. Ma qui non troverete dialoghi prolungati o spiegazioni esaustive.
Sugita sfida il pubblico a interpretare il silenzio, a riempire i vuoti con la propria immaginazione. Il film è un esperimento nella comunicazione non verbale, in cui le parole sono scelte con parsimonia, ma ogni inquadratura è studiata con cura. La cinematografia di “Kanata No Uta – Following The Sound” è un trionfo di immagini affascinanti.
Questo non è un film che si offre facilmente, e forse è proprio questa la sua bellezza. Non c’è una trama lineare o dialoghi esplicativi. Siamo invitati a osservare, a immergerci nell’esperienza visiva e ad afferrare l’essenza delle emozioni dei personaggi senza bisogno di spiegazioni dettagliate.
In un’epoca in cui siamo sommersi da informazioni, questo film è una pausa rinfrescante. Esplora la gentilezza e la cura in un modo delicato, anche se può risultare frustrante per alcuni il mistero che circonda i personaggi principali. Ma è proprio questa mancanza di dettagli che ci permette di connetterci in modo più profondo con le emozioni dei protagonisti.
Con dialoghi minimi e una narrazione che richiede pazienza, “Kanata No Uta – Following The Sound” è un’opera che non si adatta a tutti. Ma per coloro disposti a immergersi in un’esperienza cinematografica contemplativa, questo film offre una ricompensa nella sua bellezza visiva e nella sfida a guardare oltre le parole.
L’immagine del film, girato in formato 4:3 con una fotografia patinata, è una vera delizia per gli occhi. Il direttore della fotografia, Yukiko Iioka, cattura la perfezione dei lineamenti di An Ogawa e dona al film un tocco di nostalgia. La moderazione visiva ci invita a godere della lentezza e a scrutare oltre la superficie, scoprendo il cuore pulsante del film.
Plot
Haru, una giovane impiegata in una libreria, ferma Yukiko col pretesto di chiederle alcune indicazioni. In realtà, ha percepito in quella donna un dolore profondo che ne segna il volto. Per lo stesso motivo, la commessa segue con discrezione anche Tsuyoshi. Tempo addietro, era una studentessa alle medie quando sua madre morì. Proprio allora, le capitò di incontrare e parlare, in contesti diversi, con Yukiko e con Tsuyoshi. Entrambi sembravano sofferenti. Anni dopo, Haru è ancora sulle tracce di quei due, quasi per il rimorso di non aver saputo aiutare sua madre. Per tutto questo tempo, ha continuato a sorvegliare Yukiko e Tsuyoshi. E quando incontra l’uno o dialoga con l’altra, le relazioni mutano, assumono nuove forme. Sono momenti nei quali Haru pensa a sua madre e al dolore di quelle due persone.